Australia Inesplorata

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Il Northen Territory – Mt. Borradaile
Un’esperienza di cultura aborigena senza eguali

“La prima falce di luna sulla vecchia ombra della luna cresce lentamente e splendendo pende lì, al posto della Stella Vespertina.
Poi va molto lontano, affondando, per perdere il suo osso nel mare, tuffandosi nell’acqua, affonda fuor della vista. La vecchia Luna muore per ricrescere nuova e risorgere dal mare.”

(da un canto Woguri-Mandjigai
di Arnhembay)

Il brano poetico di apertura è di antichissima tradizione e diventò poi una nota canzone aborigena detta “dell’Epoca del Sogno, della Luna e della sorella Augong”.

Come molti altri versetti che risalivano alla tradizione, anche questo canto, nella sua estensione, aiutava l’aborigeno a fissare nella memoria l’utilizzo delle stelle adattando il quotidiano ai movimenti del cielo.
Questo viaggio sarà improntato alla ricerca della cultura aborigena, un’incredibile galleria di circostanze e volti, sensazioni, incontri e poi ancora l’aspetto di altra gente che ti sorprende; differente dal campionario umano tradizionalmente conosciuto.
Gesti che significativi. Segni del passato. Sogni.

Il Dream Time.
Tre settimane di un cammino attraverso mondi diversi, diverse culture, religioni, pitture rupestri che ti arretrano di 55.000 anni. È la golena aborigena su cui naviga questo incerto viaggiatore sorpreso dalla tenerezza dell’incontro. Uno zoo di vetro che confina con una grande libertà. È il rapporto con l’infinito, l’attesa di una risposta cosmica. Il grande riscatto.
Forse aveva ragione Pasolini quando denunciava l’omologazione come reale pericolo per l’uomo. L’omologazione ad un qualcosa di non compiuto, ad una pretesa di inutile perfezione. La non comprensione della sproporzione che ci governa e l’assurdo di un progetto di per se stesso insufficiente. Inconsistente.
Da qui alla comprensione della cultura aborigena il passo è breve. Il resto è un’affidarsi ad un armonia che sovrintende le cose; la ricerca di una semplicità che lega l’uomo alla natura, al bush.
È l’uomo dentro la natura che lo circonda; è una consegna senza più pretese, alla pari, sino a formare un tutt’uno Uomo-Natura in tutta semplicità.
Questa è l’esperienza di Mount Borradaile nell’Arnhemland dove, grazie a Max e Philippa Davidson, gli ideatori di questi incontri esclusivi, ho potuto vivere, con un gruppetto di turisti provenienti da ogni dove, questo interessante contatto con un’Australia inesplorata.
Ma soprattutto devo ringraziare il Dott. Viviano Domenici, giornalista responsabile delle pagine scientifiche del Corriere della Sera, che mi ha dato le coordinate dell’idea realizzata poi grazie alla Earth.
È dunque una grande libertà, una catarsi semplice e lineare, che caratterizza gli aborigeni australiani. Una libertà nata già dal loro primo impatto con queste terre ancora in evoluzione ed ancora unite in un unico continente denominato Pangea, circondato dall’attuale Oceano Pacifico (allora mar di Pantalassa). Questo grande continente si spezzò poi in due: Laurasia e Gondwana e da questo ultimo, nacque l’Australia.
Gli ominidi che dettero origine agli aborigeni australiani erano del tutto simili a quelli africani che la scienza ricollega al homo erectus erectus dell’Africa od al pithecanthropos di Giava risalente a quasi due milioni di anni fa’.
Ancor oggi, secondo gli esperti, osservando la forma del cranio e la proporzione del corpo degli aborigeni australiani si possono riscontrare similitudini con l’uomo di Neanderthal vissuto in epoca precedente al neolitico (VIII ÷ IV millennio a.C.). A partire da quell’epoca già cominciano ad affermarsi nell’evoluzione dell’uomo le culture agricole che troviamo invece del tutto assenti nella prassi aborigena.
Esistono comunque anche aborigeni dal volto simile a quello dell’uomo europeo come ad esempio gli Aruunta, tribù del Nord Australia dal temperamento fortemente passionale ed a volte violento, molto legati al culto degli antenati ed agli spiriti primordiali.
Ma come fu possibile che le culture aborigene non evolvessero mentre tutto il resto del mondo cominciava già a sfruttare la terra, ad allevare gli animali e si avviava verso la civilizzazione ?
Probabilmente la loro vita si era fermata casualmente alla preistoria a dispetto dell’evoluzione o forse, privilegiavano semplicemente Altro. Cercavamo la Terra senza il Male.
Le tribù si differenziavano cioè tra loro ma non esisteva alcuna forma di conflittualità, meno che meno, violenta. Gli Arunta del nord dicono: “la tua vita non vale meno di quella del tuo vicino”.
La grande libertà di cui dicevo all’inizio la si vede negli aborigeni anche nelle loro questioni religiose e sociali. Questa cultura non ha mai creato ad esempio, figure di potere come capi o re. Le loro tribù vivono tuttora una forma di associazione molto democratica e sono governate dagli anziani più influenti che si adunano per le decisioni importanti escludendo dalle responsabilità i più giovani. Questa loro assemblea corrisponde grosso modo ad un nostro Senato.
Gli aborigeni vivono associati in gruppi di famiglie la cui massima autorità è costituita dal padre o dal marito. Ci sono le classi sociali ma non ci sono le forme di privilegio o di sopraffazione; qui la democrazia trova veramente piena realizzazione, una dimostrazione pratica ineccepibile.
Il capo tribù deve possedere un carisma al limite della magia, ma arrivato ad una certa età, comprende autonomamente che è giunto il momento di far posto ad un altri e ritirarsi.
La magia è comunque di casa nella cultura aborigena e proviene sempre da rivelazioni oniriche o dagli spiriti dei morti. La più temibile delle magie è quella dell’osso ripresa anche dal canto Woguri-Mandjigai già citato. È il terribile Kundela.
Si tratta di un osso umano appositamente appuntito (quello dell’avambraccio generalmente) che dopo essere stato coperto di segni sacri viene puntato nella direzione dell’eventuale nemico. Le forze soprannaturali negative, quali spiriti, geni o demoni, vengono subito sottomesse alla volontà dell’uomo. E torna il sereno, l’armonia.
È il magico mondo delle grotte, delle pitture rupestri che ci dice tutto questo e ci descrive la vita aborigena nel suo essenziale.
Gli artisti delle varie tribù che ci hanno tramandato queste loro opere raffigurano un tempo verde e felice, un’epoca in cui il cibo era abbondante e l’uomo parlava con esseri mitici e presenti da sempre.
E proprio questo magico mondo dei graffiti, delle incisioni e delle pitture rupestri che ci riporta all’epoca in cui questo impegno era considerato essenziale per tramandare il mondo delle figure mitologiche, degli antenati, degli dei. Il Dream Time appunto.
Gli aborigeni dividono in tre parti quella che noi chiamiamo la creazione: all’inizio c’era il tempo prima del tempo; poi venne il tempo in cui venne creata la terra ed infine venne il presente, l’Età del Sogno.
Durante la prima parte gli esseri soprannaturali dettero vita alla natura creando fiumi, montagne, flora e fauna.
Tra i miti aborigeni merita particolare attenzione il Rainbow Serpent, un antenato dell’Età del Sogno, un mito comune a tutte le tribù aborigene dell’Australia. Il Serpente Arcobaleno ha una doppia valenza: è Dio della Creazione e contemporaneamente Dio della Distruzione; è simbolo del Bene e del Male. Ha un potere illimitato. Strisciando sulla terra ha generato i fiumi e tuffandosi sotto terra ha fatto emergere le montagne.
Questo dio da colore e bellezza alla vita ma quando gli uomini violano le leggi del cielo la sua collera scatena epidemie ed inondazioni.
Proprio nell’Arnhemland (campo base a Mount Borradaile) c’è una pittura rupestre di 6 metri che rappresenta questa figura mitica. Anche a Nourlangie Rock, nel Kakadu National Park, potrete ammirare il meglio della Rock Art con incisioni rupestri molto significative sulla vita aborigena.
Per gli aborigeni, seguaci di un elementare monoteismo di tipo naturalistico, la morte sarebbe soltanto un cambiamento di valenza e l’uomo diventerebbe finalmente un tutt’uno con se stesso e con il mondo circostante, vivendo spiritualmente in uno stato di natura.
Tutto nella cultura aborigena ha il sapore dell’immenso e non fa che richiamare perciò la nostra sproporzione di fronte al mistero, di fronte alla vita.
Il 26 gennaio di ogni anno gli australiani celebrano alla grande l’Australian Day a ricordo dei primi coloni che nel 1788 fondarono Sidney. La controcelebrazione degli aborigeni è il Survival Day ovvero il giorno della sopravvivenza.
Si calcola che due secoli fa vivessero in Australia 300.000 aborigeni; oggi ve ne sono meno di 230.000 ma l’impressione è che non abbiano affatto chiuso con la loro storia e con la loro cultura.
Oggi rilanciano e riaffermano i loro diritti nonché una maggiore giustizia sociale. Vogliono emendare il Native Title Act per farsi riconoscere il potere di vietare lo sfruttamento delle loro terre, partecipare ai profitti delle attività minerarie ed introdurre una forma di autogoverno.
Prima di chiudere con il mondo della cultura aborigena non si può fare a meno di accennare al boomerang ed al didjeridoo, segni ineludibili del loro ingegno e della loro sensibilità musicale.
Il boomerang è un’arma davvero geniale costruita in modo che se fallisce la preda torna nuovamente al lanciatore grazie alla sua particolare forma a gomito. La tecnica di lancio a braccio teso e con rotazione del polso, consente di colpire efficacemente il bersaglio anche a cinquanta metri di distanza.
Il didjeridoo è invece uno strumento musicale a fiato costituito da un tubo, lungo mediamente un metro e mezzo e con un diametro di circa 6 cm. È ricavato da un legno di eucalipto svuotato al suo interno dall’incessante lavoro delle termiti (bellissimi i mille e mille termitai sparsi in tutto il paese).
La tecnica migliore per suonare il didjeridoo è quella della “respirazione circolare” perché permette di ottenere un suono continuo ma anche ritmico e gradevole, quasi misterioso, apprezzato persino dal mondo musicale contemporaneo.
Prima di chiudere con il mistero di questa terra merita spendere ancora due parole per far rilevare che recentemente un gruppo di ricercatori italiani del Centro Studi Ligabue ha rinvenuto, proprio nell’Arnhemland, una pittura rupestre rappresentante una nave con caratteristiche dell’Asia sud orientale. Questo proverebbe, secondo un articolo apparso di recente sul Corriere della Sera, che navigatori asiatici, probabilmente migratori Lapita, scoprirono l’Australia ben 4.000 anni fa.

Voglio comunque terminare con una citazione da quel grande libro sulla civiltà aborigena che è “Le vie dei canti” di Bruce Chatwin:

« L’idea di ritornare ad una semplicità originaria non era ingenua, antiscientifica né fuori dalla realtà. »

Scritto da Redazione Viaggiamo

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