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Il mito del Gange
Se l’India è di per sé magica, seguire il corso del Gange e assistere al bagno rituale dei fedeli è un’esperienza senza precedenti. Per gli indù, il fiume Gange personifica Ganga, dea della purificazione.
Il mito racconta che all’inizio scorreva solo attraverso il cielo, ma il re Bhagarathi lo fece scendere sulla Terra per lavare le ceneri dei suoi antenati.
Per attenuare la caduta, che avrebbe ucciso gli esseri umani, si riversò prima sulla testa del dio Shiva, e quindi gocciolò sulla Terra lungo i ricci dei suoi capelli.
Sperando di ottenere la redenzione bevendo o facendo il bagno nelle sue acque, i pellegrini – alcuni malati o morenti – fanno lunghi viaggi estenuanti sul Gange.
La fede nelle proprietà depurative del fiume viene dal potere rinfrescante delle sue acque. Molti riti indù sono basati sulla convinzione che il potere è caldo e che, se è malvagio, può essere neutralizzato dalla freschezza dell’acqua.
Gli indù credono anche che, se vengono cremati sulle rive del fiume e le loro ceneri sono disperse in esso, la loro anima sarà liberata dal ciclo di reincarnazione e avrà accesso al paradiso, o Nirvana.
Quindi, nonostante sia fortemente inquinata, l’acqua del maestoso fiume Gange è per 800 milioni di indù l’acqua santa per eccellenza in tutto il mondo, in grado di purificare i peccati dell’anima dei devoti.
Bere dalle sue acque significa comunicare con l’assoluto.
I luoghi sacri del Gange
Le vivaci acque del fiume Gange sgorgano a Gomuhk, una remota grotta ghiacciata ai piedi dell’Himalaya. Il flusso impetuoso scorre attraverso una valle sulle colline del Garhwal, passando tra maestosi pini, cedri profumati e sensuali rododendri fino a raggiungere la città di Devaprayag, alimentato lungo il suo primo tratto dalla confluenza di altri sei fiumi, fino a diventare propriamente Gange all’altezza della città di Haridwar, il primo luogo sacro del fiume.
Ogni primavera qui, oltre 100.000 indù celebrano la nascita di Madre Gange, costruendo piccole barche di foglie, piene di petali di calendula e intrisi di burro chiarificato, che incendiano e affidano al corso del fiume.
Il Gange continua il suo viaggio verso Allahabad, a est, e in breve si unisce al fiume Yamuna. Gli indù considerano anche il Sangumi sacro, ovvero il punto in cui i fiumi si incontrano e ogni anno si svolge una festa coloratissima. Musica di flauto e cornetta, i sadhu o santi nomadi, vagano per le strade su elefanti e cammelli riccamente abbelliti con piume e tessuti colorati. Nella parte nord dell’India si trovano concentrati quattro delle sette città sacre dell’induismo, con rovine buddiste e leggendari e importanti centri di culto.
Il bagno rituale nel Gange
Varanasi , precedentemente nota come Benares , è la città più sacra del Gange e la più antica città dell’India. Il fiume attraversa questi luoghi per 3 km. E qui che si trovano i famosi ghats (le scale per scendere in acqua) che fiancheggiano margini dove pellegrini, anziani e malati svolgono le loro abluzioni purificatrici.
Gli indù aspirano a morire qui, dove la madre Gange libera l’anima dall’eterno cerchio della vita, nascita, morte e resurrezione rompendo il Samsara, il ciclo senza fine delle trasmigrazioni. I corpi dei morti vengono inceneriti nel famoso ghat di Manikarnika su pire di legno o sandalo (ultimamente anche elettriche).
I doms, servitori del campo di cremazione, sorvegliano giorno e notte. La vita qui segue una sequenza ripetitiva: con il sorgere del sole, una folla avanza sui ghat, per compiere un rito millenario. Eretti, dai movimenti lenti e ponderati, indifferenti ai turisti che scattano fotografie, i fedeli offrono le loro preghiere, fanno le abluzioni e bevono le acque sacre del fiume come se si trattasse di acqua di sorgente.
All’imbrunire, la città diventa un posto più tranquillo: barche che galleggiano nella foschia, uno sciame di comete sui tetti, campane e fiammelle nel crepuscolo: è l’offerta di luce in segno di gratitudine. Quando cala l’oscurità, i sacri Hindu cantano preghiere e invocazioni sulle rive del fiume.