Lingua Romanì, la lingua parlata in ogni parte del Mondo.
La lingua romanì non è assolutamente famosa, eppure viene parlata quasi in ogni Paese del mondo. Si tratta di una lingua al 100% indoeuropea, inclusa quindi nella famiglia delle lingue europee, ed è parlata per la gran parte dai sinti e dai rom.
La lingua romanì viene utilizzata solo da una piccola parte dei rom e dei sinti. Al giorno d’oggi sia tratta dell’unica lingua indoaria che è riuscita a resistere ai cambiamenti e alle intemperie del tempo restando praticamente invariata dal Medioevo.
Per questo è diventata un oggetto di discussione per molti linguisti e orientalisti.
Gli esperti ritengono che questa lingua sia una diretta discendente delle lingue parlate nella zona dell’India settentrionale. Qui, però, viene sottolineata una differenza: la lingua indiana, difatti, si è evoluto nel corso del tempo assumendo un’altra forma (come anche l’italiano si è evoluto da quello parlato nel tardo Rinascimento). Questo, però, non è avvenuto per la lingua Romanì che tutt’oggi resta praticamente la stessa.
In particolare si ritiene che la lingua romanì discenda dai dialetti pracriti dell’India settentrionale (molto diffusioni nella zona del confine con il Pakistan) e in gran misura significhi “originale” o “normale”. Pertanto non bisogna meravigliarsi se coloro che parlano il romanì si ritengono gli indiani originali o meglio coloro che parlano a lingua originale.
Lo stesso termine, pracriti, viene altresì utilizzato dai linguisti per indicare delle lingue indiane volgari o vernacolari in contrapposizione letteraria con il sanscrito, definito come il saṃskṛtā, che viene ritenuta la lingua ufficiale delle persone colte e studiose. Anche per via di questa contrapposizione, il romanì si sarebbe sviluppato in modo del tutto indipendente dalla lingua dei colti accentuando così maggiormente la suddivisione in caste della struttura sociale che caratterizzava (e che per molti versi caratterizza ancora) l’India.
Stando a quanto affermano alcuni esperti del settore, questa lingua contiene una vasta gamma di termini derivati dal curdo, greco, persiano e dall’armeno: proprio questo dimostrerebbe il tragitto compiuto dalla popolazione dei sinti durante la migrazione in Europa nel periodo del Basso Medioevo.
Secondo le stime, sarebbero circa 4,6 milioni i rom a parlare il romanì, il che è un dato abbastanza grande considerando che non si tratta della lingua ufficiale del popolo sinti. Di questi 4,6 milioni, circa il 70% parla il romanì nei Balcani oppure in Europa dell’Est (soprattutto in Polonia, Ucraina, Bielorussia e Russia).
La popolazione che utilizza questa lingua non ha uno Stato di appartenenza e per molti versi si tratta di un idioma non riconosciuto in moltissimi Paesi. Al giorno d’oggi, difatti, il romanì gode dello status di lingua riconosciuta solo in Svezia, Germania, Austria e Finlandia, nonché in modo molto minore nella Macedonia del Nord nonché in Romania.
Tutto questo ci fa capire che si tratta comunque di una di quelle lingue che lottano per la propria salvaguardia e spesso incontrano molte difficoltà anche per via dei naturali pregiudizi verso tutto ciò che rappresenta la comunità dei rom.
Nel Bel Paese il romanì non è ufficializzato, né protetto in alcun modo nonostante sia presente sulla nostra penisola da centinaia e centinaia di anni. La questione della tutela della lingua dei sinti è stata più volte posta dinnanzi ai Capi dello Stato, ma non si è mai arrivati al punto da creare delle solide tutele legislative per proteggere i sinti.
A questo si aggiunge il fattore del nomadismo, che in alcuni casi venne utilizzato dai legislatori per escludere le persone che parlano il romanì dalla protezione della leggere numero 482 dell’anno 1999.
Questo poiché lo status di nomadi che viene attribuito a questa popolazione significa che i sinti stessi non resteranno in Italia per molto tempo, ma, anzi, viaggeranno. Per tutelare il romanì in Italia sono stati creati dei progetti di legge che, però, non hanno avuto alcun proseguimento venendo blocco quasi subito. L’unico iter avviato per il riconoscimento della lingua romanì come quella appartenenti a un’etnia è stato quello iniziato dall’Università di Teramo.